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La struttura del sé (come si struttura il comportamento)

La struttura del sé (come si struttura il comportamento)

Nella dottrina di Freud la pulsione è ciò che dà origine al comportamento, all’investimento dell’energia. Freud distingue il comportamento in affetto (per noi onda) e in rappresentazione dell’affetto (per noi successione correlata di fatti). Nel soggetto che ha subito un trauma psichico l’affetto di quella pulsione non corrisponde più alla sua rappresentazione e viene investito su di un’altra rappresentazione oppure viene rimosso (inconscio). Se noi leggiamo la dottrina di Freud secondo la teoria biologica della mente e i fondamenti neurofisiologici del controllo delle emozioni, possiamo affermare che l’intensità emotiva causata dal trauma agisce sui centri emozionali RAS (Reticular Activation System), amigdala e sistema limbico, ipotalamo, ipofisi ecc. provocando una attivazione del sistema nervoso autonomo (SNA). Esso dà origine a una cascata di reazioni chimiche alterando il substrato biologico e, quindi, i ritmi della velocità sinaptica e della elaborazione delle frequenze dei due aspetti dell’energia di entrambi gli spazi. L’onda ed il quantum non sono in grado di sincronizzarsi sui sistemi di riferimento per appartenere alla stessa immagine (affetto e rappresentazione) e conseguentemente la risposta è incoerente, impropria, disadattiva. Il “fuori tempo” delle informazioni altera e riduce la conoscenza del sé e del contesto e contemporaneamente altera l’affettività e il bisogno per cui il soggetto pianifica l’azione. In accordo con i Sofisti, definire qualsiasi cosa è soggettivo: la cosa non cambia, ciò che cambia è il soggetto: l’uomo. Non esiste infatti un criterio di verità quanto piuttosto un criterio per preferire una cosa ad un’altra. Il criterio è sempre quello dell’utile, del bisogno di colui che soggettivamente agisce (relativismo gnoseologico).

Gli studi neuropsicologici sul comportamento disadattivo, antisociale, criminale sono cominciati di recente e hanno una breve storia. I primi studi in questa area hanno inizio intorno al 1970. La ricerca effettuata da Terrie E. Moffit6 e colleghi ne è un esempio. Noi la prenderemo in considerazione perché i dati che essi rilevarono supportano e avvalorano la nostra teoria. La ricerca di questi autori si svolse per un periodo di sei anni e coinvolse 500 criminali. Aveva lo scopo di verificare se in questi soggetti fossero presenti difficoltà di apprendimento che

6E.Moffit e col, :2009

potessero ridurre la possibilità di successo a scuola e conseguentemente aumentare la probabilità di comportamenti criminali. Per facilitare il raffronto tra i vari studi, Terrie Maffit e col., decisero di somministrare test raggruppati secondo le aree cerebrali (lobo frontale e lobo parietale) che si supponeva corrispondessero alle funzioni che avevano deciso di valutare (usarono quindi la neuroimmagine); il lobo frontale responsabile per la pianificazione della risposta e il lobo temporale per le abilità linguistiche. Le conclusioni della ricerca, senza eccezione, misero in evidenza una alta incidenza di profili neuropsicologici anormali in criminali recidivi e persistenti. Un altro risultato che fu messo in evidenza e non può essere ignorato fu il quoziente intellettivo (IQ) più basso nel gruppo di delinquenti rispetto al gruppo di controllo. La Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS) fu la scala di valutazione. Questi studi ed altri hanno stabilito la prevalenza di disfunzioni neuropsicologiche tra i delinquenti e una diretta relazione è stata dedotta tra il deficit e il crimine. Slavin7 per esempio enfatizza l’importanza del deficit nel information processing per l’eziologia del crimine.

La ricerca sopra accennata, partendo da osservazioni di neuroimmagine, mette in evidenza caratteristiche particolari di questi soggetti che, però, trovano spiegazione solo attraverso la teoria biologica della mente: scarsa autostima, difficoltà a socializzare, riduzione del livello di arousal (mancanza di paura), ridotta capacità emotiva, difficoltà a comprendere e ricordare, mancanza di attenzione e concentrazione, incapacità a pianificare un’intenzione e a prevederne le conseguenze. Deficit visivi e mancanza di lateralizzazione sono altre caratteristiche rilevate. Un ulteriore dato messo in evidenza è la difficoltà che questi soggetti dimostrano nell’apprendimento del linguaggio. L’attuale ricerca, a differenza della nostra, lascia irrisolto e non riconosce il legame causale tra competenza verbale e profilo neuro psicologico anormale; la neuroimmagine, infatti, non può rilevare la fase 1 e 2 del processo cognitivo e considera perciò il linguaggio innato (vedi anche logica dialettica più avanti). In quanto processo cognitivo, il linguaggio dipende dalla capacità che il soggetto ha nel percepire il proprio spazio interno, il proprio sé. Esso è costituito da segni convenzionali che “rappresentano” l’oggetto percepito e come tale è espresso da una serie di astrazioni dei due aspetti dell’energia generate da ciò che il soggetto è riuscito a percepire in modo consapevole in fase 1 e 2. Non può quindi nemmeno essere preso come parametro per misurare altre abilità perché esso stesso è un’abilità che si struttura in seguito ad esperienze motorie Bernardini A.8 Gli autistici, per esempio, che non percepiscono in modo consapevole l’energia del proprio corpo, hanno difficoltà nel linguaggio e nei casi più severi non riescono neppure a parlare.

7 Slavin, :1978

8 Bernardini, :2015

Per la stessa ragione non riescono a entrare in relazione con gli altri e quindi a socializzare; per loro è impossibile usare il proprio corpo come sistema di riferimento e la propriocezione come costante, cosa che invece accomuna tutti gli individui. Il linguaggio non è una causa prima. Proprio gli autistici invece dimostrano che la causa prima è la percezione consapevole della energia del proprio spazio interno/corpo e a questa dobbiamo rivolgere la nostra attenzione in ambito educativo e rieducativo.

Secondo noi, Il deficit più significativo che i dati della ricerca riportano e che riassume e spiega tutti gli altri è il dato relativo alla difficoltà di comprendere e memorizzare. Secondo la nostra teoria, la memoria è possibile solo se le informazioni dei due spazi e dei due aspetti dell’energia si sincronizzano nell’unità di tempo sui sistemi di riferimento e diventano parte delle mappe neurali, acquistano significato e consapevolezza, passano dall’oggettivo (esterno) al soggettivo (interno). La mancanza di memoria, di consapevolezza è responsabile della riduzione del livello di arousal e della capacità emotiva. Con il termine arousal si intende lo stato di allerta che precede l’azione prestabilita o comportamento. Prima di una qualsiasi azione il SN, sulla base delle esperienze precedenti, attiva un numero di cellule neurali (Pre-motor area PMA lobo frontale) che il soggetto ritiene utili all’azione stessa. Il numero di cellule allertate nell’unità di tempo sarà tanto più numeroso e selettivo quanto più le capacità di memoria e attenzione saranno sviluppate. Ciò è valido per entrambi gli aspetti dell’energia. Noi riteniamo che il SNC organizzi la risposta su un’immagine spaziale memorizzata (onda) attraverso l’esperienza motoria, astratta e generalizzata in cui, calcolate le coordinate spaziali nell’unità di tempo, in virtù della propriocezione assunta come parametro di riferimento, inserisca le informazioni temporali (quantum) correlate e connesse anche esse memorizzate, astratte e generalizzate in virtù dell’esperienza” Bernardini A.9 In caso di deficit percettivo l’emisfero destro (RH onda), che si attiva prima di (LH quantum) emisfero sinistro 10non è in grado di intuire nell’unità di tempo il percorso neurale utile, così come l’emisfero sinistro (LH) non è in grado di mettere nell’unità di tempo le informazioni del quantum in relazione e connessione sull’onda; diminuisce, quindi, il livello di arousal e con esso la paura e l’emotività. Poiché, come sopra visto, emozione e coscienza caratterizzano l’intelligenza, il comportamento di questi soggetti metterà in evidenza, oltre a ridotta intelligenza, anche scarsa consapevolezza e diminuita emozione. Quanto appena descritto spiega il comportamento disadattivo e/o aggressivo.

Non vogliamo in questo contesto entrare ulteriormente nella discussione dei dati quanto piuttosto ritornare sulle cause che, secondo noi, determinano il mancato sincronismo tra le informazioni dei due spazi in correlazione. Il “fuori tempo” può accadere, oltre che per traumi psichici come Freud ha ampiamente dimostrato, anche in seguito ad insulti neurologici, come la letteratura clinica dimostra, e nei casi di deficit percettivi visivi per esempio o propriocettivi dovuti a cause genetiche (autismo)11. Le cause, quindi, possono dipendere da deficit propri del soggetto e/o essere generati dalla relazione tra il soggetto e l’ambiente. Ciò che quindi ci interessa mettere in evidenza e ribadire con forza, in accordo con la Maffit, è che:

1) per adattarsi in modo adeguato all’ambiente sono essenziali buone capacità di processare le informazioni. I risultati del processo di socializzazione non dipende solo dall’ambiente sociale del ragazzo, come l’attuale ricerca è propensa a sostenere, ma sono necessarie anche le abilità cognitive del ragazzo stesso.

2) – queste abilità si strutturano attraverso l’esperienza motoria/relazionale personale e non per rispecchiamento o rappresentazione di una realtà indipendente. Il sé di cui noi parliamo, quindi, corrisponde alla percezione consapevole che il soggetto ha del suo spazio interno/corpo, di cui prende coscienza conseguentemente alle sue esperienze motorie nella interrelazione con l’ambiente esterno, compreso l’altro. Il sé si costruisce attraverso le esperienze motorie nell’ambiente esterno e il corpo è l’unità di misura per poterlo conoscere ed adattarvisi. Il comportamento consapevole è possibile solo se il soggetto riesce a percepire in modo cosciente il proprio spazio/corpo.

9 Bernardini, :2008

10 Springer, :1998

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